Tenuta Tovaglieri di Golasecca (VA) merita l’inserimento nella guida Osterie di Slow Food?
Una guida, già per la definizione che si attribuisce, si assume al contempo la responsabilità di ergersi a entità in grado di influenzare le decisioni dei lettori, compito di enorme importanza deontologica da svolgere in maniera necessariamente inappuntabile: per questo abbiamo ritenuto di non potere soprassedere davanti alla decisione per niente condivisibile di Osterie d’Italia di Slow Food di inserire tra le migliori scelte la Tenuta Tovaglieri di Golasecca, agriturismo in provincia di Varese la cui ristorazione ha invece fatto emergere diverse problematiche quando lo abbiamo testato, tanto da farci ritenere totalmente fuori luogo tale riconoscimento ricevuto dall’associazione fondata da Carlo Petrini.
Al locale non mancano punti di forza, quasi tutti però concentrati in aspetti che non c’entrano assolutamente nulla con la cucina, la quale invece dovrebbe essere l’aspetto determinante da valutare per una guida culinaria. Si apprezzano infatti un certo raffinato buon gusto estetico diffuso, la capacità di coniugare bellezza e funzionalità mettendo insieme wine farm, ristorante e ospitalità.
Le perplessità giungono soltanto a tavola.
La guida dice che “è da provare il tagliere dei salumi” e la prova rivela che si tratta di prodotti sì corretti ma senza picchi né emozioni.
A soffrire sono però soprattutto le cotture.
Le materie prime sono di buon livello e in alcuni casi prodotte in proprio, ma durante il nostro test sono state svilite da una costante scarsa sapidità, la quale ha reso le pietanze poco saporite.
Caso lampante un Risotto alla crema di zucchine e fiori in cui le verdure locali non si avvertivano per niente. Si aggiunga il più classico e meno sopportabile degli errori, il riso scotto, oltre che asciutto e slegato: ce ne vuole per rovinare un autentico Carnaroli della Riserva San Massimo, eppure qui ci sono riusciti, malgrado sulla guida si legga “da non perdere i risotti”.
Inutile il tentativo di insaporire la portata con l’olio di produzione propria della Tenuta, troppo tenue sul cibo per influire sul dato organolettico.
Il Nostro raviolo km zero con pomodorini freschi a sua volta presentava una consistenza collosa che non rendeva piacevole la masticazione.
Deludente pure un Filetto di maiale, troppo asciutto e, aspetto ancor più grave, servito con diverse patate al forno ancora quasi crude.
Da sottolineare che la guida parla di “una cucina ricca di piatti tradizionali”, totalmente assenti invece in occasione della nostra visita.
Ci sono stati anche dei piatti soddisfacenti, come riportato nella nostra recensione fatta a suo tempo (https://www.storienogastronomiche.it/tenuta-tovaglieri-golasecca-va-bell-ambiente-cucina-discontinua/), ma la sensazione è stata quella di una scarsa gestione dei fornelli a causa forse di un controllo non severo o poco esperto dell’organizzazione della brigata di cucina, una mancata verifica della qualità di ciò che veniva servito a causa della quale sfuggivano imprecisioni nelle cotture e incongruenze nelle preparazioni.
Questa disattenzione verso il cibo è apparsa una discrasia confrontata invece con la grande puntualità della Tenuta nella cura dell’ambiente naturale e nel decoro interno delle strutture, come se si puntasse sulla superficiale seduzione dello sguardo anziché su una severa e inappuntabile concretezza culinaria.
Ancor più sconcerta la scelta di Slow Food di inserire tale locale in Guida poiché ciò avviene a discapito di altri della Lombardia che sono maggiormente in linea con i dettami dell’associazione e invece vengono sistematicamente snobbati dai redattori.
Per rimanere in provincia di Varese, basti fare riferimento ai troppi anni di esclusione dalla guida di un locale come l’Osteria dei Peccatori di Gallarate, ovvero la più sensibile in tutta Italia, quella maggiormente impegnata in una faticosa ma prodigiosa opera di recupero della memoria gastronomica contadina, tradotta in tavola portate sempre perfette e magnificamente saporite. Oppure la commovente Osteréa dé la Anetì di Bergamo, importante come e più di un’istituzione culturale per il suo approccio antropologico alla cucina strettamente locale, aspetti un tempo privilegiati dalla Guida di Slow Food; sappiamo che negli scorsi anni un componente storico della redazione lombarda ha fatto più visite a questo locale, senza però mai inserirlo in guida, malgrado tale osteria avesse anche il pregio di essere economica e prettamente tradizionale, come richiesto un tempo da Carlo Petrini prima di essere troppo assorbito dal tema pur nobilissimo dell’alimentazione nel terzo mondo, uno di quelli che magari può portare al Nobel, invece di acuire lo sguardo su certe sbandate editoriali.
Malgrado tutto la guida Osterie d’Italia di Slow Food rimane l’unica in assoluto che abbia ancora un senso, ma c’è da augurarsi che recuperi il rigore di un tempo, per non disperdere un importante patrimonio di credibilità di cui la cultura gastronomica italiana ha più che mai parecchio bisogno.
Info: https://tenutatovaglieri.it/