The Way We Are, 40 anni di rivoluzione culturale dell’Emporio Armani in mostra al Silos
Una rivoluzione culturale panica che ha dato dignità pregna di senso al gusto estetico come elemento di aggregazione e identità collettiva, imponendo l’inclusività democratica anche nel regno esclusivo della moda, trasformando i giovani da passivo oggetto di studio a soggetto attivo di stile, dimostrando a tutti come un tocco di classe possa cambiare il mondo: ha avuto ragione Giorgio Armani a volere celebrare il quarantesimo anniversario dalla creazione dell’Emporio Armani concentrandone valori e istanze nella mostra The way we are da lui curata personalmente, la cui stratificazione espositiva e intellettuale svela con intrigante chiarezza l’influenza del suo brand sulla modernità corrente.
Una mostra illuminante ospitata dall’Armani/Silos di via Bergognone 40 a Milano che “trasforma lo spirito aggregativo di Emporio Armani in un’esperienza unica, ricapitolando, senza nostalgie, quattro decenni di un brand all’avanguardia e trasversale”, essendo datato 1981 il varo del brand e la costruzione del mondo che rappresenta, all’insegna di un programma preciso come “la moda per tutti”, la cui attuazione è dimostrata nell’allestimento “mescolando capi e accessori significativi con l’immaginario e l’iconografia unici creati negli anni”, usando quali dispositivi simboli reali dell’arredo urbano di Milano, pagine di Emporio Armani Magazine da cui esondano scatti leggendari e testi ammalianti, gigantografie, moodboard, video, tutto per illustrare gli abiti in ogni declinazione fisica e ideale delle loro tessiture.
Sette le tappe di un tragitto che prevede quali stazioni contenutistiche Icon Lei / Icon Her, Milano, Ero(T)Ismo / Hero(T)I(C)Ism, Mood Board, Emporio Armani Magazine, Altrove / Elsewhere, Icon Lui / Icon Him.
I criteri espositivi sono una lezione di approccio epistemologico all’exhibition che parte dalla materica constatazione empirica per mutarla in astrazione comunicativa.
Giorgio Armani ha fortemente voluto il mantenimento degli spazi monumentali originari dell’edificio che ospita il Silos come preconizzandone il valore di giacimento di volumi perenni adattabili all’estro fuggevole, quasi una gabbia modulare che parte dalla fissità geometrica di Mondrian per essere poi trafitta dagli squarci sul presente fenomenico di Fontana.
Così gran parte dei metri cubi delle stanze vengono sottratti al respiro dello sguardo per essere precipitati nel nero assoluto, il Nero Armani si direbbe, capace di recepire la lezione secentesca del punto luce che ritaglia idilli di vita iconica adagiando un chiarore minimale sul soggetto illuminato, recependo la lezione caravaggesca della tranche de vie teatralizzata e trasferendola senza nessun timore referenziale in un presente continuativo atemporale.
E’ così che ogni abito esposto appare baciato da un suo esclusivo soffio lucente che ne disegna la sagoma, come se sottolineando il perimetro delle stoffe sancisse i confini del parto maieutico di un’ispirazione irripetibile, un hic et nunc del genio creativo sottolineato da cartelli che ne datano la nascita mentre ne celebrano l’immortalità stilistica.
La selezione dei pezzi è quindi inevitabilmente scarna e severissima.
Immaginabile il lavorio interiore del curatore nell’estrarre da una produzione immensa puntellata di meraviglie le limitate opere da fare assurgere ciascuna a sineddoche di un preciso momento in cui la società si è riconosciuta in un dato (di)segno, rendendo ogni abito quale frammento di un mito. In tal maniera ogni singolo pezzo diviene tessera che accostata all’altra dà vita a un mosaico con la medesima funzione parlante degli omologhi di età romana, narrando un preciso momento della realtà in fieri cristallizzato in scheggia di Storia.
L’assenza di didascalie allora non è soltanto invito a lasciarsi andare a un flusso sciamanico in cui unica guida sia la potenza suggestiva recepibile dall’occhio, bensì anche una sottolineatura della forza delle icone Armani di spiegarsi da sole, senza avere bisogno di ridondanze verbali, rifuggendo con decisione la tautologia per approdare a un esperanto cognitivo apodittico dove ogni capo(lavoro) giustifica se stesso.
Le parole però non possono mancare nel progetto di un intellettuale come Giorgio Armani, il quale nella sua originalità spiazzante decide di spenderle tutte e subito, all’inizio del percorso di visita, con una sorprendente soluzione concettuale, un mastodontico muro di ledwall che usa i monitor come gigantesca tela su cui vergare i valori del marchio, come a volere aggiungere un capitolo al romanzo dell’uso del lettering nell’arte, compiendo una sintesi ieratica delle intuizioni da Apollinaire a Isgrò passando per le tumultuose applicazioni della pop art.
Qui la parola è parola, pesa ed è pesata, urla silenziosa nella trama dei pixel, troneggiando sull’osservatore finalmente invitato a sollevare la testa, in tutti i sensi.
E’ una tempesta di significato e significante, dove rimangono addosso le definizioni perentorie di Emporio il cui etimo indica l’assenza di confini, tempo e spazio, individuandolo piuttosto come container, enciclopedia, algoritmo, una “miniera di possibilità” dalla quale estrarre “una espansione di identità”. Una raffica di parole chiave investono l’Emporio di sfaccettature come curioso, intrepido, viaggio, esperienza, sutura, somma di storie, tutto sotto il volo libero di un’aquila che quattro decenni fa ha visto più lontano degli altri nel ritenere che l’inclusione potesse sposarsi con la Moda.
Da questa parete semantica in avanti sono le forme a farsi linguaggio, moltiplicandosi grazie al sapiente uso di specchi e superfici riflettenti che sono saettanti slanci verso un infinito che si rigenera per partenogenesi.
Ogni stanza è quindi universo tematico in cui si legge l’influenza socio-culturale di Emporio Armani nel corso del tempo, anticipando la fluidità dei generi e la liquidità sessuale, dando una forma agli anni ’80, introducendo l’esotismo al netto delle paure bensì con l’eccitazione della scoperta, sancendo l’approdo di Milano alla dimensione metropolitana internazionale, traslando il costume cinematografico da mera esigenza di scena a meditata eleganza plausibile, trasportando lo star system dalla secca degli eccessi alla laguna del buon gusto.
La conferma della brillante intuizione di Armani di affidare a volere affidare la celebrazione del quarantesimo anniversario del suo Emporio a una simile condensazione di stimoli, invitandoci a non dare per scontato un fenomeno come questo marchio-mondo oggi diventato parte della quotidianità, ma soltanto dopo avere compiuto una radicale trasformazione del gusto collettivo.
La mostra sarà visitabile fino al 6 febbraio 2022 e con essa Giorgio Armani “sostiene i progetti dedicati all’istruzione e volti a contrastare l’abbandono scolastico di Save the Children, l’organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro”.
Info: https://www.armanisilos.com/it/mostra/the-way-we-are-emporio-armani/