Vadiaperti Traerte, la vera tipicità dei vini autoctoni irpini
Hanno proprio tutto un altro fascino i vini quando sgorgano da un forte ancoraggio territoriale frutto di consapevolezza culturale e ardore identitario: lo dimostrano i sensazionali vini autoctoni irpini frutto del vigore enoico di Raffaele Troisi, transitati dal marchio Vadiaperti all’azienda Traerte, sempre con il medesimo accorato rigore.
Sul sito del suo distributore, Proposta Vini, la Vadiaperti viene efficacemente descritta come “una delle prime cantine che ha reso celebre la collina di Montefredane, imponendola come area di riferimento per il Fiano di Avellino”, parlando di un progetto “giocato sempre sulla coerenza stilistica e senza mai seguire mode o omologazioni”, cui si aggiungono “la passione per le vigne, l’amore per il proprio territorio e il rispetto delle tradizioni” (http://www.propostavini.com/produttori/vadiaperti-traerte-angelarosa).
E’ talmente lucido e convinto il progetto di Troisi, da essere dichiarato su ogni etichetta prodotta, dove in poche parole di sviluppano autentici manifesti a sostegno di ciascun vitigno valorizzato e vinificato.
“La filosofia che guida l’azienda possiamo dire che è quella che si prefigge di valorizzare un territorio attraverso i vini” spiega Troisi, aggiungendo che “cerchiamo di rispettare le caratteristiche intrinseche dei vitigni e dei suoli, prevalentemente argillosi di origine vulcanica, in modo da poterle percepire, anche in modo evocativo, ad ogni sorso: del resto Traerte significa tra strade di montagna (Tra erte) dove appunto giacciono i nostri vigneti”.
Anche i nomi delle selezioni hanno così un preciso significato, annunciandone le peculiarità organolettiche.
Torama “è il termine dialettale che usiamo in alcune contrade di Pietradefusi (AV) per indicare un suolo calcareo ed arenitico molto drenante: ciò spinge le radici in profondità per captare e strappare al suolo sali minerali ed acqua. In queste condizioni si ottengono generalmente vini freschi ed eleganti. Tanto più se le viti sono pluridecennali come nel caso di questo vigneto di Pietradefusi. Il vitigno per il Torama è il Coda di Volpe, antichissimo e diffusissimo in questa zona prima che fosse oscurato dai ben più noti Fiano e Greco e relegato a ruolo di gregario o al massimo di varietà da taglio. Ho cominciato a lavorare il Coda di Volpe in purezza nel 1993 quasi per scommessa arrivando nel 2011 a volere fortemente valorizzarlo con una selezione ottenute da uve del vigneto e producendo per la prima volta il Torama”.
Al naso di presenta con un magnifico profumo di gelsomino, mentre il palato rileva subito la sua mineralità espansa e il fruttato intenso, con sentori di pera Williams, un sorso pulitissimo e una beva scorrevole.
“Sulla stessa frequenza sono le motivazioni che mi hanno spinto a produrre lo spumante dal vitigno Coda di Volpe che, tra l’altro, non è neanche tra le varietà che possono produrre lo spumante Dop Irpinia riservato, al momento, solo al Fiano, al Greco e alla Falanghina. Infatti non dovrei menzionare né il vitigno né la Dop e neppure l’annata. Il Coda di Volpe non è il miglior vitigno da spumantizzare, considerando la bassa acidità, ma era una sfida che mi andava di affrontare e così nel 2012 ho fatto per la prima volta queste 2000 bottiglie di metodo Martinotti o Charmat interamente elaborato nelle nostre cantine e nelle nostre autoclavi. Questo testimonia ancora una volta la volontà di valorizzare le risorse del territorio. Sarebbe stato molto più conveniente commissionarlo ad un’azienda del Nord come fanno molti produttori Italiani dalle Alpi alle Piramidi. Nonostante non abbia limiti temporali, la permanenza sui lieviti di questo spumante supera spesso gli 8 – 9 mesi ottenendo così uno spumante un po’ insolito molto simile ad metodo classico”.
Il bouquet è di frutta candita, mentre all’assaggio si presenta subito denso e abboccato, con note di albicocca, cannella e cotogna. Il sorso è materico, la beva intensa, da pasto importante.
Per Tornante “il nome ha una doppia valenza: una fisica ed una metafisica ed immateriale. Quella fisica è immediata in quanto i vigneti di Greco da cui lo produciamo si trovano ad un’altitudine media di circa 650 m. nel Comune di Montefusco (AV) e per raggiungerli di tornanti bisogna affrontarne tanti. Il secondo significato, più evocativo, consiste nel fatto che l’etichetta richiama quella degli anni novanta. Nel 2005 ho sentito, infatti, il bisogno di fare un restyling dell’etichetta approdando a quella attuale. Per le tre selezioni, tra cui anche il Tornante, ho semplicemente snellito l’etichetta che usavo in quegli anni senza stravolgerla. Ho prodotto il Tornante per la prima volta nel 1993 anche se all’epoca si chiamava Federico II in quanto rappresentava una produzione regale fatta con Greco 100% senza taglio con il Coda di Volpe che, guarda caso, è stato prodotto per la prima volta in purezza proprio nel 1993. Il motivo risiede nel fatto che molti vigneti di Greco avevano diverse piante di Coda di Volpe. Io avevo impiantato i vigneti proprio quell’anno e, dovendo aspettare il fisiologico tempo di produzione delle piante, dovevo acquistare uve Greco spesso mischiate con uve Coda di Volpe. Separai i due vitigni facendo i due prodotti monovarietali. L’altitudine e i terreni decisamente argillosi danno vini potenti ma eleganti con note agrumate gradevoli ed intense”.
Colpisce l’olfatto il profumo di pesco in fiore, così come il palato viene irretito dall’approccio minerale, con gli aromi che seguono discreti. Buona acidità, beva stimolante, sorso lindo, apre a sensazioni di litchi e albicocca, chiudendo con una punta di amaricante.
Aipierti è un “toponimo dialettale dell’area geografica in cui ha sede l’azienda e dove abbiamo cominciato a produrre il Fiano. Nel 1984 questa zona del Comune di Montefredane (AV) che i contadini chiamavano Aipierti fu ribattezzata da mio padre Vadiaperti che è tutt’ora la sede operativa della Traerte srl. Rappresenta il meglio che il vigneto di Montefredane può dare nella sua fascia più elevata a circa 400 m. di altitudine. E’ il primo vigneto che abbiamo coltivato e conosco tutte le viti una per una, così negli anni novanta nacque l’Arechi, anche questo regale come il Greco Federico II ottenuto da quelle uve che consideravo migliori. Nel 2005, anno del restyling, cambiai anche questo nome conferendo al vino maggior legame con il territorio, appunto l’espressione dialettale usata per indicare la contrada. Elegante e sobrio nella sua espressione sia olfattiva che gustativa, ha una grande attitudine all’invecchiamento e va sicuramente assaporato dopo qualche anno”.
Magnifico il suo colore dorato intenso e ricco di nuance, preludio visivo a un bouquet di frutti esotici. Sorprendente l’abbrivio aromatico con sfumature zuccherine, mentre la zampillante acidità ingolosisce la beva. Sentori di frutta candita si immergono in un sorso cremoso e appagante.
L’Aglianico “è un igt Campania per produrre il quale compro le uve in zone piuttosto basse tra Venticano e Taurasi (intorno ai 300 metri) dove il tannino e la struttura cedono il passo ad eleganza e freschezza. Mi piace che queste caratteristiche territoriali e quelle specifiche del vitigno rimangano intatte ed è per questo che non uso legno ma solo acciaio ed affinamento in bottiglia per circa un anno. Questo vino quindi non si presenta imponente ma si adatta bene alla cucina anche estiva e non pesante. Non disdegna una fritturina di pesce servito, magari, non a temperatura ambiente ma leggermente più fresco”.
I profumi parlano di marasche sotto spirito, così come in bocca ancora si ritrovano le amarene nel loro sciroppo. Setoso, elegantissimo, di buona acidità, mette il frutto in primo piano, creando una notevole sintesi tra grande beva e intensità degustativa. Con la permanenza nel bicchiere, viene fuori la sua brillante vinosità contadina di un tempo.
Nel caso della Falanghina, “anche questo bianco viene ottenuto da uve acquistate. In questo caso espatriamo entrando nella provincia di Benevento, patria della Falangina, in particolare nel comune di San Giorgio del Sannio. Anche per questo vitigno, al quale normalmente si richiedono aromi fruttati più o meno intensi, la tecnica di vinificazione è subordinata all’espressione varietale più che alla piacevolezza a tutti i costi. L’acidità del vitigno viene ben bilanciata dalla struttura che l’argilla di San Giorgio del Sannio è capace di conferire al vino stesso. Meticoloso ed estenuante è il mio impegno nel seguire agronomicamente i fornitori o, per meglio dire, gli amici che producono le uve. Di conseguenza come, per altro, nel caso dell’Aglianico, la filosofia preventiva e non curativa e invasiva pervade anche questa produzione come d’altro canto quella di tutti i vigneti da cui produciamo vino”.
La complessità cattura tanto l’olfatto quanto il gusto, regalando campi in fiore nel primo caso, mentre in bocca sembra di sentire la frutta secca tra la freschezza esotica.
Nel video che segue abbiamo intervistato Raffaele Troisi, chiedendogli di riassumere questo universo.
Info: http://www.vadiaperti.it/index2.html#
Distribuzione: http://www.propostavini.com/ricerca-prodotti/?q=VADIAPERTI+