Vigneti Massa in Piemonte, l’identificazione del vino col suo territorio
Il concetto di territorio ormai è di moda e perfino i produttori industriali di vino se ne sono appropriati, ma al massimo troverete riportato questo termine nell’etichetta posteriore delle bottiglie, giusto perché fa presa sui consumatori. C’è invece un caso in cui il lemma “territorio” è evidenziato nell’etichetta anteriore della bottiglia, assumendo un significato profondo nel determinare l’intero lavoro di una cantina guidata da un vitivinicoltore sincero e appassionato: è il caso dei Vigneti Massa.
Sopra il nome di ogni vino che produce, si staglia una dichiarazione di intenti inequivocabile: “un territorio, un vino, un vitigno”. La progressione semantica non è casuale: la parola “territorio” precede tutte le altre, perfino “vino” e “vitigno”, chiarendo con forza che una spremuta enoica deve essere prima di tutto frutto dell’ambiente in cui viene prodotta, della sua natura biologica come della cultura antropica che la abita.
E’ il pensiero concreto di Walter Massa, personaggio tra i più influenti del mondo del vino, non (sol)tanto per gli incarichi di vertice all’interno della FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti), ma anche e soprattutto per la sua verve da intellettuale controcorrente.
Arcigno e caustico senza mai perdere in eleganza espositiva, Massa è depositario di una vis polemica sanguigna che sembra iconicamente figlia del quadro Il Quarto Stato dipinto dal conterraneo Giuseppe Pelizza da Volpedo, nel quale è rappresentata non a caso una rivolta operaia avvenuta nella piazza Malaspina di quella Volpedo che si trova in prossimità del luogo in cui Walter risiede e opera.
Il territorio che Massa traduce in grandiosi vini è infatti quello del Tortonese, in Piemonte, nell’area orientale della provincia di Alessandria, in particolare la zona che ruota intorno al piccolo comune di Monleale, posto appunto di fronte alla nota Volpedo.
Sul sito del Comune, Monleale è descritto come “uno splendido balcone sulla Pianura Padana, luogo eletto per la produzione di grandi vini e di frutta di ottima qualità”, in cui “la chiesa e le case antiche del borgo spuntano da lontano sul crinale di una collina coperta di vigneti”, sui cui “rilievi crescono uve bianche e rosse da cui si producono vini densi e fragranti”, senza dimenticare “un’identità eno-gastronomica inconfondibile” che comprende grandi pesche profumate e ghiottonerie come “il salame Nobile del Giarolo, il formaggio Montèbore e la carne all’erba” (www.comune.monleale.al.it).
Il vitigno identitario per eccellenza , anche perché quasi esclusivo della zona, è oggi il Timorasso, per la cui tutela e valorizzazione Walter Massa sta spendendo tutta la sua esistenza. E’ una perla che ha rischiato di andare perduta, a causa della fillossera prima e del mercato dopo, sostituito da vi(tig)ni ritenuti più redditizi. Massa si è opposto a questo depauperamento culturale della bio-diversità, recuperandolo e traducendolo in vini clamorosi che hanno sbalordito il mondo.
Come il Derthona (non a caso l’antico nome della città di Tortona), gioiello che non rinuncia alla semplicità, a partire dalla scelta di usare il tappo a vite per le bottiglie che lo contengono: Timorasso in purezza, vinificato in acciaio, è la quintessenza della filosofia di Massa, tanto da rappresentarne a tutt’oggi il vino più famoso. Appena aperto ti trasporta in un gelsomineto, inebriandoti con il profumo di mille candidi fiori sbocciati. L’ingresso in bocca è un trionfo aromatico, ricco di mineralità, mentre il sorso è denso e spesso.
Intorno, un florilegio di declinazioni del vitigno, per cogliere tutte le sfumature donate dai diversi angoli del terroir.
L’irrequietezza selvaggia del Costa Del Vento, i sentori cangianti del clamoroso Sterpi che ondeggia tra la freschezza e l’abboccato, l’acidità quasi balsamica e agrumata del Petit Derthona Terra, fino all’austerità del Montecitorio con la sua frutta matura e il carattere sereno ma fermo.
Massa non dimentica che comunque la sua è sempre stata zona di vini rossi, così prende il toponimo locale per definire l’assemblaggio classico della tradizione: Barbera 90% con Freisa e Croatina al 10%, diventano il Monleale che nelle varie annate ti fa scorrere sotto il naso il sentore della sua progressiva maturazione. Si contraddistingue per un ingresso all’insegna dell’acidità, mentre il palato viene avvolto da una dolcezza che si porta dietro anche una punta di mineralità. Grande beva.
Massa si cimenta anche con la Freisa, con il convincente Pietra del Gallo e l’evocativo L’Avvelenata: segnati da profumi di spezie balsamiche e tannini importanti, riportano alla memoria composta di frutti rossi e la sensazione di berli direttamente in cantina.
Monumentale la Barbera del Bigolla 2005, una rivelazione la Croatina del Pertichetta, con le sue note carboniche, quasi un torbato gentile, su cui incombe un sottobosco autunnale che sa di foglie secche: il sorso ha elegante spessore, con una suggestione abboccata che si avviluppa alla lingua; pulito, fresco il giusto, dal retrogusto speziato.
Ma per comprendere fino in fondo l’universo bucolico di Walter Massa, bisogna sentirlo parlare: per questo lo abbiamo intervistato con la nostra telecamera, come potete vedere nel video che segue.
Info: www.propostavini.com