Visitare Bova in Calabria: fondamentale per capire l’Italia e la Civiltà
I motivi possono essere molteplici, l’imperativo categorico è unico: bisogna visitare Bova. Almeno una volta nella vita, ammesso che basti.
Bisogna farlo, perché altrimenti non si può capire nulla dell’Italia. Nulla delle radici su cui si fonda. Nulla delle colonne di granito su cui erge la sua Cultura odierna. Nulla di ciò che siamo, tutti, da Nord a Sud.
Perché Bova non è a sud. E’ al centro. Al centro della cultura del Mediterraneo, padre nostro ma anche avo della Civiltà intera.
Sarà piccola, ma è come una goccia d’ambra: in essa è cristallizzato il cromosoma della nostra identità.
Perché da questo lembo ionico in cui la costa calabrese fugge verso l’Aspromonte sono passati tutti i coacervi della massime intelligenze del Mondo: dai popoli primigeni ai greci, dai romani agli ebrei, con le loro mille declinazioni etniche.
Bova, tra tutte le genie, ha scelto la più nobile in assoluto, la civiltà che ha generato il Pensiero elevato e fondato il principio della civile convivenza: quella Greca. Da lì hanno portato lingua, usi, idee, istanze che si sono sposate a meraviglia con l’onesta, l’operosità e il senso dell’accoglienza delle popolazioni locali, creando un’enclave di eccellenza umana chiamata oggi Calabria Greca.
Di cui Bova è la capitale, riconosciuta da tutti. Per diritto naturale. Perché in questo magnifico borgo tra i più belli d’Italia la lingua qualcuno la parla o almeno la accenna ancora. Una lingua non più greca a opportunamente definita Grecanica, giusto a marcare non una distanza geofisica dalla madre bensì le fiera originalità culturale dei figli.
Lingua che non viene stucchevolmente messa avanti da risibili rivendicazioni separatiste respingenti in stile nordico, ma al contrario è usata in maniera inclusiva. Se al Nord c’è chi abusa degli idiomi locali per non farsi capire (e quindi accettare) dagli altri, qui al contrario la lingua autoctona è esibita proprio per farsi comprendere nella propria intima essenza di comunità. Se certo ignorante irredentismo settentrionale nega l’italiano perché non ha niente da dire oltre l’assemblaggio cacofonico di dentali e gutturali, qui invece la suadente melodia glottologica grecanica offre un supporto semantico in più ai tantissimi profondi contenuti della società locale.
Un senso di appartenenza che si fa mirabilmente Cultura, come da nessun’altra parte capita di vedere. Quale altra municipalità fonderebbe la propria attrazione turistica principale su un museo dedicato a una lingua? Per di più non ufficiale?! Bova lo fa. Il suo Museo della Lingua Greco-Calabra (http://www.storienogastronomiche.it/museo-della-lingua-greco-calabra-a-bova-rc-storia-da-riscoprire/) è il simbolo di questo centro: un rigore anche socio-politico che rappresenta una lezione per l’Italia intera. Altro che musei civici che espongono accozzaglie di lasciti dei cittadini, o mega-musei chic usati come specchietti per turisti dell’oleografico: a Bova il turista viene indirizzato dritto dritto verso la cultura indigena, già dai cartelli bilingue che ti accolgono e poi fino al museo più rappresentativo.
Per una sorta di nemesi, è intitolato a Gerhard Rohlfs, uno studioso proveniente proprio dal Paese germanico cui inneggia chi al nord vuole usare la lingua per dividersi dal resto d’Italia. Rohlfs invece nelle lingue vedeva unione e pacificazione, eleggendole a simbolo delle origini dell’Uomo evoluto, della sua ascesa alla civiltà composita. Ogni minima traccia linguistica per lui era un tratto del grande disegno del mondo. Se di tutti i suoi innumerevoli viaggi il numero maggiore lo ha fatto proprio in quest’area della Calabria, ecco la prova provata della superiorità intellettuale di tale territorio.
Rohlfs ha certificato con criteri scientifici che l’area grecanica calabrese è lo scrigno culturale più affascinante d’Italia, dimostrandolo concretamente con la propria vita, in buona parte spesa abbarbicandosi nella natura irregolare, selvaggia e stordente della Calabria grecanica, alla ricerca di parole ma anche di oggetti, di versi da tradurre in segno grafico come di scatti fotografici divenuti arte antropologica. Chi arriva in Italia, dovrebbe obbligatoriamente visitare il Museo della Lingua Greco-Calabra di Bova, ben prima di Uffizi e Musei Vaticani, se vuole davvero comprendere dove si trovi.
La comprensione di Bova però non sarebbe completa senza un approfondito passaggio al Museo di Paleontologia e Scienze Naturali dell’Aspromonte (http://www.storienogastronomiche.it/museo-di-paleontologia-e-scienze-naturali-dellaspromonte-a-bova-rc/), dove un visitatore può letteralmente scendere in profondità nell’identità locale, visto che con grande intelligenza questa esposizione si concentra sulla storia remotissima delle viscere della terra su cui poggia la Calabria grecanica. Capendo tutto ciò che cova sotto, si capisce appena cosa c’è sopra: così un museo di geo-fisica ti appaga quanto la filosofia. Ancora un gioiello museale di livello nazionale.
A Bova però un museo può trovarsi perfino a cielo aperto, come nel caso del Sentiero della Civiltà Contadina (http://www.storienogastronomiche.it/sentiero-della-civilta-contadina-memoria-esterna-di-bova-rc/) che, invitandoti a una suggestiva camminata lungo l’orizzonte di splendidi panorami, ti snocciola un rosario di oggetti della cultura materiale disposti con elevatissimo gusto scenografico e apprezzabile perizia descrittiva.
Una volta innamorati persi di questo territorio, bisognerà poi recarsi al Centro Visita di Bova (http://www.storienogastronomiche.it/centro-visita-di-bova-per-scoprire-larea-grecanica-della-calabria/), non soltanto luogo di accoglienza turistica bensì autentico volano per ripartire alla scoperta di tutto ciò che c’è intorno a Bova. Prima si viaggia emotivamente tra la grazia di un’esposizione ricca di stimoli visivi, poi ci si mette in marcia verso se stessi.
E quando vi sarà venuta fame, non c’è ragione di allontanarsi dal centro. I viaggiatori non pensino però di trovare qui localetti anonimi e cibi banali. A Bova la cucina è una cosa seria come tutto il resto e pure quella parla del territorio.
Il rigore forse è perfino troppo, tanto che in città non ci sono pasticcerie e nei bar la prima colazione non prevede tipicità, essendo vista forse come una pratica da sbrigare in fretta in vista dei pasti più significativi.
Se doveste comunque andare a prendere un caffè o un cornetto e dovete ancora decidere dove mangiare, meglio non chiedere consigli avventati. Potrebbe capitarvi come è accaduto a noi che una persona di età avanzata si faccia avanti e inizi a parlarvi male di tutti i ristoranti della città, tranne uno lì vicino, di cui casualmente si ritrova i volantini pubblicitari sparsi in tutto il locale: ecco, non datele retta, quelle parole sono dettate da interessi familiari e non hanno nulla di oggettivo.
I luoghi imprescindibili per mangiare a Bova sono invece i tre che abbiamo provato noi.
Il Ristorante Grecanico della Cooperativa San Leo (http://www.storienogastronomiche.it/ristorante-grecanico-a-bova-rc-la-cucina-calabrese-ellenofona/) è la summa dell’intera cucina grecanica: qui un pasto equivale a una visita museale, perché si può conoscere ogni elemento imprescindibile della cultura enogastronomica locale, tra piatti antichissimi e materie prime derivanti da pratiche agro-alimentari rimaste intatte nei secoli.
Stesso spirito identitario alla Degustazione Al Borgo di Marcello Mafrica (http://www.storienogastronomiche.it/al-borgo-la-degustazione-della-cucina-casereccia-di-bova-rc/), dove il valore aggiunto sono le preparazioni in prima persona dei salumi, delle conserve e di diverse materie prime: un vero scambio dal produttore al consumatore fatto di bontà inaudite che si possono anche acquistare e portare a casa.
Più semplice e immediato ma egualmente irrinunciabile Alla Lestopitta da Mimmo (http://www.storienogastronomiche.it/alla-lestopitta-da-mimmo-il-pane-azzimo-fritto-tipico-di-bova-rc/), interamente incentrato su questo pane azzimo fritto tipico di Bova: basterebbe la golosità a farvi precipitare a provarlo, ma sappiate che addenterete anche in questo caso secoli di storia.
Caratteristica della cucina bovese, di matrice povera e contadina, è il suo gravitare intorno ai prodotti dell’agricoltura e della pastorizia: il mare è ad appena dieci chilometri, ma di pesce non c’è traccia, perché qui la gastronomia volta le spalle allo Ionio per guardare invece ai rilievi dell’Aspromonte, del cui Parco Nazionale proprio Bova è una delle porte d’accesso.
Fondamentali allora le carni, soprattutto quelle meno frequentate altrove, come la pecora e la capra, mentre il maiale trionfa nella realizzazione dei salumi. Strepitosi i formaggi, qui realizzati in gran parte da piccoli casari se non dagli stessi pastori: rustici, artigianali, dai profumi selvaggi come la libertà, nella versione più tipica sono prodotti con un misto di latte ovino e caprino, ovvero quello degli animali che meglio si adattano ai terreni irrequieti che circondano il borgo.
Bova è pure il centro di produzione più serio del vino che rientra nella confusissima IGT di Palizzi che appare creata soltanto per vendere vino e non per celebrare una tradizione territoriale, visto che comprende lo spropositato numero di trenta vitigni, quasi tutti non territoriali se non addirittura alloctoni. A Bova riconducono alla serietà anche quel guazzabuglio enoico amministrativo, vinificando esclusivamente vitigni autoctoni come Nerello Calabrese, Greco Bianco e Guardavalle. L’autentico vino di Bova lo si può sorseggiare nel locale di uno dei vignaioli che lo produce, la Degusteria I Platia di Pietro Casile (http://www.storienogastronomiche.it/il-vino-di-bova-rc-da-provare-alla-degusteria-i-platia/), dove si possono anche acquistare questi nettari che sono senza dubbio i migliori di tutta la bassa area ionica calabrese.
Tra una tappa e l’altra, non ci si perda l’incanto di una passeggiata tra i vicoli di Bova, dove improvvisa irrompe la surreale presenza di una vecchia locomotiva a vapore, collocata in pieno centro: un memento più che un monumento, essendo altare del mezzo attraverso il quale il borgo si è spopolato, con i suoi figli costretti a cercare altrove quel sostegno materiale che la sola cultura non riusciva a garantire.
Poiché Bova è bellissima anche di notte, è consigliatissimo pernottarvi, anche per la rete ben organizzata di ospitalità a buon prezzo offerta dai bed & breakfast. Noi abbiamo trovato strepitoso il Kalos (www.bb-kalos.it) gestito in maniera superlativa da Alessandra Ghibaudi, non a caso molto attiva anche nelle azioni culturali locali. E’ in assoluto uno dei migliori b&b mai visti in tutta Italia, per l’attenzione ai dettagli, la presenza di tutti i servizi perfino quelli accessori, la puntualità nel rispondere alle richieste e le tante attenzioni per ogni aspetto tecnico di accoglienza e soggiorno. Molti albergatori di professione dovrebbero studiare dal Kalos come si gestisce una struttura di accoglienza turistica.
Per tutti gli esercizi citati vale un altro dato comune, l’estrema abbordabilità dei prezzi. Bova, a fronte di una elevatissima qualità dell’esperienza di visita, offre tutto a prezzi civilissimi, consentendo l’esercizio di un vero turismo democratico, accessibile a tutti. Come deve essere la cultura stessa.
Per assistenza sul posto, è lo stesso Comune a offrirsi nel suo nuovo sito istituzionale, proposto come “punto di incontro tra il comune ed i cittadini, uno strumento attraverso il quale fornire servizi e informazioni utili”, promettendo “una panoramica della vita associativa, delle risorse artistiche, culturali e naturalistiche del nostro comune”, al fine di “far conoscere il nostro comune non solo a chi ci abita, ma anche a chi lo scopre per la prima volta”. Abbiamo preso in parola quanto vergato dall’attuale sindaco, scrivendo al portale, ma non abbiamo mai ricevuto una risposta né un qualsiasi riscontro: forse funzionari e amministratori sono troppo impegnati in cose più importanti che avere un dialogo con i media che vogliono valorizzare la loro città.
Speriamo possa andare meglio ai turisti che dovessero rivolgersi al medesimo indirizzo. In ogni caso, non è il potere temporale transeunte la ragione per andare a Bova, ma il suo splendore imperituro.
Nota di merito invece alla grande disponibilità dei privati che agiscono concretamente per la promozione del borgo, come la citata Cooperativa San Leo, con l’attivissimo ed efficace Andrea Laurenzano in testa, nonché Domenico Cuppari di Bova Life (http://www.bovalife.org/) che ci ha guidato tra i beni culturali del luogo; alla fine lo abbiamo intervistato per farci dire da lui le ragioni per visitare Bova: eccole.
Quanto riportato rende evidente perché Bova sia indicato come il centro più importante della Calabria Greca. Non è un caso se l’intera area ellenofona della provincia di Reggio Calabria viene chiamata anche Bovesìa.
Un titolo di capitale meritato per Bova, anche grazie alle continue iniziative che si svolgono nel borgo. Non è raro assistere a incontri e convegni sul tema della lingua grecanica e delle sue espressioni culturali, tra approfondimenti scientifici e celebrazioni poetiche.
Eppure questo idioma tanto prezioso che dovrebbe essere bene condiviso da tutti, invece ha avuto e ha ancora oggi bisogno di essere difeso, con tutto il corredo di ritualità che si porta dietro.
In particolare, trattandosi di eredità pagana, la grecanicità ha creato conflitto tra chi segue la credenza cattolica, dove i leader non sempre sono predisposti ad accettare il sincretismo come un’evoluzione positiva. Il sistema di potere della chiesa cattolica che agisce su Bova ha infatti spesso avversato la confluenza di elementi della cultura greca nella liturgia cristiana, creando polemica e conflitto anche tra i suoi fedeli, invece di portare quella pacificazione che dovrebbe essere la sua missione dichiarata.
Un attivo cittadino bovese, Domenico Callea, in una missiva elettronica ci ha fatto notare che a Bova “fino al 1573 le liturgie avvenivano in lingua greca”, ma il rito è poi stato cancellato addirittura per ordine di Roma. Se perfino delle altissime sfere si sono dovute scomodare per proibire un rito che si svolge in un paesino lontanissimo di pochi abitanti, ciò dimostra la potenza culturale di Bova e della sua piccola comunità, capace di mettere in imbarazzo con la propria fiera dignità perfino un enorme agglomerato di potere come quello squisitamente temporale della citata chiesa, di cui ha messo a nudo la fragilità ideologica e i limiti intellettuali.
Il conflitto culturale con l’alto clero è vivo ancora oggi e si ripropone ogni anno in occasione delle celebrazioni pasquali. A Bova è molto sentita una tradizione anch’essa figlia della cultura pagana, quella delle Persephoni (http://www.storienogastronomiche.it/le-persephoni-tradizione-di-bova-rc-tra-cattolicesimo-e-paganesimo/): come già riportato in un nostro precedente articolo, è una ricorrenza che “gli anziani chiamano però delle Palme e qualche studioso definisce invece delle Pupazze, la quale “prende origine dalla più antica mitologia, poiché il culto di Persephone e di sua madre Demetra era celebrato a Micene” come informa il documentatissimo sito Calabriagreca.it”.
Dunque “una tradizione collocata nella ricorrenza della festa cristiana delle Palme”, anche se in realtà si tratta di “un rito arcaico che prende origine dal mondo remoto della mitologia greca e dei misteri eleusini”, con la conseguenza che di anno in anno chi governa il clero in quel momento decide se consentire o meno l’ingresso di queste magnifiche sculture vegetali intrecciate nei luoghi di culto dei cattolici. E’ quindi l’apertura o la chiusura mentale del leader clericale locale del momento a determinare volta per volta se le Pupazze siano rito pagano o cattolico, trascurando qualcosa di ben più importante delle confessioni religiose, come la Cultura popolare e il Sentimento collettivo.
Al di sopra delle polemiche, svetta l’importanza in sé delle Palme di Bova e del loro richiamo turistico, perché le pupazze sono un capolavoro di manualità, autentica arte povera, dall’immenso valore a livello mondiale.
Tuttavia anche questo aspetto conflittuale, rappresenta una nota positiva: dimostra quanto sia viva la cultura grecanica nella comunità bovese e quanto sia sincero il suo sostegno. Non si tratta, come in altri casi analoghi in Italia, di un elemento folcloristico per attirare turisti o di una forzatura per costruire sbrindellati movimenti politici ululanti: qui la lingua indigena ancestrale è il codice genetico di una comunità, il sangue che scorre nel corpo sociale, il respiro collettivo di un popolo.
Immergersi anche soltanto qualche ora in questo contesto, per un forestiero, vuol dire non soltanto sollevare dentro di sé domande che non si era mai fatto, ma soprattutto trovare risposte che non sapeva di stare cercando.
Info: www.comune.bova.rc.it