Whiskey culturali messicani da mais autoctoni ancestrali di Sierra Norte
I cereali sono tra le principali ragioni per cui l’Uomo alcune migliaia di anni fa smise di errabondare per il pianeta mettendo radici nei territori che coltivava e facendo così fiorire popoli stanziali e civiltà complesse: da allora tali frutti della terra si sono trasformati nei più credibili e ascoltati narratori di ogni nostra proiezione evolutiva, segnando con il loro impiego e ogni trasformazione che li riguarda lo sviluppo di tecniche, sapori, preparazioni e prodotti legati intimamente ai connotati della geografia antropica di ogni lembo del globo terrestre.
Di questo giacimento narrativo si fa carico con ammirevole lucida profondità anche il whiskey, secondo la suprema lezione intellettuale che ci giunge dal Messico con quattro distillati di Sierra Norte incentrati su altrettante cultivar millenarie autoctone di mais. Attraverso questi scintillanti nettari si intraprende un viaggio nel Tempo in cui la fatica dei contadini assurge a elegia lirica, in quanto magister vitae cui spetta il compito di ricordarci da dove veniamo mentre ancora cerchiamo di comprendere dove andare. E qui la lezione opera una crasi disciplinare che mette insieme l’amore per la bucolicità panica con lo scrupolo della Conoscenza empirica agreste, la supina dedizione alle ferree leggi naturali con la fierezza di piegarle alle ragioni della sopravvivenza.
Questa straordinaria esperienza di cultura che incontra la tutela della biodiversità è ben raccontata dal sito ufficiale del produttore, dove si spiega che tali whiskey “sono realizzati con mais ancestrale non OGM Heirloom coltivato da agricoltori tradizionali” a Oaxaca, in Messico, precisamente sulle montagne della Sierra Norte che offrono un ecosistema ideale “con la loro flora abbondante, la ricca fauna selvatica e le acque cristalline e fluenti”, diventando un bacino che accoglie e quindi protegge specie vegetali e animali tra le “più preziose del mondo”.
L’aspetto identitario emerge quando si afferma che “più di ogni coltura, il mais incarna la relazione vitale tra queste antiche montagne e i loro abitanti”, poiché “i discendenti dei primi agricoltori della regione continuano a ripiantare i migliori semi di ogni raccolto, come hanno fatto loro e i loro antenati per oltre settemila anni”.
Di tale immenso patrimonio si è fatta carico la distilleria Sierra Norte, la cui attività è iniziata grazie alla passione che ha spinto il master distiller Douglas French a “utilizzare diverse varietà di questo antico e saporito mais Oaxacan per creare una serie di whisky unici ed eccezionali”, nei quali “ogni varietà viene distillata separatamente e maturata in botti di rovere francese, in modo da mostrare il suo carattere individuale e ogni sua sfumatura”.
In questo modo una bevanda spesso associata al consumo ludico si trasforma invece in un doveroso tributo alla civiltà degli indigeni di Oaxaca e alla loro remota vicenda collettiva che conta ormai migliaia di anni.
Douglas infatti ha coinvolto “gli agricoltori tradizionali di varie regioni per piantare e raccogliere il grano ancestrale”, con tutte le difficoltà del caso e il coraggio necessario per superarle, dato che “la dedizione” verso questo genere di coltura “non è competitiva con l’agricoltura OGM”, tanto che sia il mais tradizionale, sia chi lo cura e sostiene, rischiano di soccombere a causa della difficoltà di rendere tale sistema virtuoso anche economicamente sostenibile, causando da una parte l’impiego più commerciale di tale mais per la produzione di tortillas e tamales, ma senza che ciò riesca ad arrestare il salasso sociale dell’emigrazione.
La soluzione individuata da Douglas consiste proprio nella creazione di questo sistema di produzione di whisky di mais, in base al quale la materia prima è acquistata dagli agricoltori a un prezzo equo “in modo che possano guadagnare un buon salario e continuare a vivere nelle loro fattorie”. Una commovente azione concreta di solidarietà che al profondo aspetto umano unisce un elevato contributo alla cultura materiale e alla difesa delle peculiarità etniche.
Una luminosa vicenda di “agromecenatismo”, mutuando tale felicissima definizione dalla Compagnia dei Caraibi, l’illuminata azienda che ha il lodevole merito di importare tali prodotti in Italia, confermandosi nel suo operato non soltanto un distributore di ricercatissime meraviglie da gustare ma anche un operatore culturale a pieno titolo che diffonde il Sapere e stimola in maniera coinvolgente la più sana curiosità.
Alla Compagnia dei Caraibi va infatti riconosciuto il merito didattico della diffusione della produzione e della motivazione di Douglas, la quale affascina e stimola perfino un tifo quasi sportivo per la fierezza con cui porta un prodotto così ricco di valori etici e gnoseologici a competere “con tutti gli altri whisky raffinati ed eccezionali del mondo” compresi i colossi del settore, consapevole che il reddito generato da tale sfida titanica “ritorna a Oaxaca e il ciclo di vita della sostenibilità è completo”.
Ecco perché l’atto di acquistare, bere e apprezzare i whiskey di Sierra Norte scatena una cosmogonia di valenze morali e divulgative. Significa uscire dalla coazione a ripetere il gesto di versare nel bicchiere i soliti distillati scontati, sedimentati dalla fossilizzazione del luogo comune e dall’acritica accettazione di una vulgata ormai senza senso: la frequentazione inevitabile dei più celebrati whisky consente certamente di godere delle magnifiche arti dei maestri distillatori e delle tradizioni cui a loro volta attingono, ma è impagabile (e introvabile altrove) la fibrillazione interiore dei whiskey sinceramente politici e poeticamente indigeni di Sierra Norte, forieri di una categoria del gusto arcaica che trascina in un eccitante dialogo tra il senso del sapore e l’amplificazione delle mente.
Un superamento del dualismo tra anima e corpo che sarebbe piaciuto al filosofo bavarese ottocentesco Ludwig Feuerbach, parafrasando il quale non siamo soltanto ciò con cui ci alimentiamo, bensì anche il modo in cui produciamo ciò che mangiamo e beviamo. Ne deriva che il modo di agire di Doug French in quel di Oaxaca non è soltanto una lodevole espressione di responsabilità sociale d’impresa, bensì un dono all’intera umanità, dal particolare al generale, poiché consentendo di non disperdere un tassello cerealicolo che rappresenta anche una molecola del DNA del popolo messicano, allo stesso tempo opera una salvaguardia della Memoria di tutta la specie umana, poiché quel mais che affonda le radici nella notte dei tempi è da ritenersi alla stregua di un’area archeologica nel definire chi siamo, rimembrando anche i doveri che abbiamo verso la Natura.
L’afflato pedagogico di Doug è autentico perché indotto da un percorso di maturazione che sembra echeggiare quello del buon whiskey, tra romantiche sconfitte imprenditoriali iniziali dovute a un’esuberante attitudine visionaria, poi rimediati grazie proprio a una visione più ampia fatta di ricerca indefessa, non senza incomprensioni iniziali del mercato che la tigna del distillatore ha demolito con i fendenti dell’alta qualità.
Una combattività di cui ha beneficiato pure il mondo del mezcal martoriato dall’omologazione del gusto globale quanto dalle inique imposte locali, con la creazione di un movimento che invece oggi esporta prodotti in numerosi Paesi del mondo, grazie al quale, come racconta in prima persona Doug, “ci sono circa cento indigeni Zapotec nei villaggi di Oaxacan che mangiano ogni giorno per merito delle transazioni commerciali che conduco con loro, i loro padri, fratelli, mogli o figli”.
Questo mondo ideale si sostanzia a San Agustin de las Juntas nella periferia di Oaxaca, dove opera la distilleria di Doug French.
Quattro le declinazioni di whiskey realizzate, una per ogni varietà di mais (Negro, Blanco, Amarillo, Morado), accomunate dalla formula con 85% di una sola cultivar di mais ancestrale e per il rimanente 15% orzo maltato. Per il resto, doppia distillazione, maturazione in singolo barilotto, invecchiamento di dieci mesi e grado alcolico del 45%.
Il whiskey di Maiz Negro (Black Corn) si presenta al naso con un corredo di cereali maltati che potrebbe ritardarne l’accertamento dell’originalità che invece si manifesta al palato attraverso sentori di bergamotto, avena, frutta secca (in prevalenza noce) e cioccolato bianco.
Morbidissimo, carezzevole, si fa notare per un’aromaticità diffusa e perfino insinuante.
Il finale entusiasma per la scorrevolezza della beva che esalta un sorso rotondo e un carattere ghiotto.
Maiz Amarillo (Yellow Corn) è gentile all’olfatto, vellicandolo con un fruscio floreale.
Ben più sorprendente l’approccio al palato, dove miscela l’intensità del cardo selvatico con la balsamicità dell’eucalipto, sciorinando sensazioni di sorbo dell’uccellatore e venature che ricordano il dolce-amaro dell’Abbamele.
Finale di estesa persistenza in cui si apprezza l’elegantissima assenza dello spirito pungente di matrice alcolica.
Maiz Blanco (White Corn) ammalia con un suadente bouquet erbaceo che rimanda alle brattee della pannocchia, mentre in bocca si dispiegano carruba, radice di liquirizia, pepe nero e cotogna, pervasi da un moderato piglio zuccherino.
Finale breve come la persistenza per un sorso che punta sul piacere dell’immanente.
Il Maiz Morado, ultimo arrivato della serie, arriva al naso con un effluvio sensoriale che evoca la melata.
Al palato crea atmosfera balsamica sulla quale si innestano suggestioni linfatiche che spaziano dalla camomilla al tarassaco, passando per banana matura e approdando a un retrogusto di fico.
Finale irresistibile lungo e molto persistente in cui non scema mai un’amabilità che conquista.
Sorseggiare uno di questi whiskey equivale a leggere un’avvincente pagina di un memoir che muta in un crescendo da romanzo storico e si conclude con l’enfasi del poema epico: in ogni sua goccia, troveremo riflesso uno scorcio di noi stessi.
Info: https://sierranortewhiskey.com/
Distribuzione: https://www.compagniadeicaraibi.com/prodotti/NC/WHISKEY/SIERRA-NORTE