Zero Infinito di Pojer e Sandri: vini, grappa e aceto da uve resistenti
Era già considerata alla stregua di una università della grappa per il rigore scientifico, la sapienza empirica e l’elevatissimo livello tecnico e organolettico dei suoi distillati, ma adesso la cantina Pojer e Sandri sale in cattedra per insegnare quali siano tutte le infinite possibilità delle uve resistenti, dove all’inappuntabile teoria si associa la pratica che porta a una serie di prodotti straordinariamente gradevoli, dimostrando che i nettari PIWI non sono soltanto una curiosità ma anche forieri di piacevolezza.
Tutta questa autentica rivoluzione del gusto responsabile rientra nel formidabile progetto chiamato suggestivamente Zero Infinito, le cui radici sono in verità molto lontane, poiché fin dalla fondazione dell’azienda nel 1975 Mario Pojer e Fiorentino Sandri hanno perseguito il sogno di “fare il vino con la sola uva: sembra banale e scontato ma in realtà dalla vigna alla bottiglia diversi prodotti esogeni entrano nella trasformazione, antigrittogamici e insetticidi in vigneto ed antiossidanti in cantina, per non parlare di tutti gli additivi autorizzati dalla stessa legislazione”.
(Fiorentino Sandri e Mario Pojer)
La soluzione definitiva per evitare le tentazioni della chimica è apparsa chiara nel 2006 quando un operatore svizzero ha fatto assaggiare ai due vignaioli un vino da varietà resistenti, definiti dalla sigla internazionale PIWI, dal tedesco “pilzwiderstandsfähig”, con cui si indicano i vitigni che resistono naturalmente alle malattie funginee.
“Siamo stati subito folgorati” rivelano Pojer e Sandri nelle note del progetto, “non tanto dal vino stesso quanto, dalla possibilità di trasformare un’uva che non è mai stata trattata in vigna”.
Sono seguiti studi sull’argomento, supportati dal contatto con vignaioli altoatesini già pratici del fenomeno, come Rudi Niedermayer, oltre al contributo gnoseologico dell’istituto sperimentale di Friburg in Germania, centro di ricerca in cui negli anni ’70 “sono stati creati diversi vitigni incrociando varietà selvatiche resistenti alle malattie fungine (vitis Labrusca americana, Amurensis Cina/Russia, Saperavi Georgia) con varietà europee, mantenendo i caratteri organolettici per noi abituali”.
Dalla teoria alla pratica il passaggio avviene nel 2009, quando “a Grumes in alta Val di Cembra 800-900 mslm mettiamo a dimora 4,5 ha di vigneto utilizzando la varietà Solaris ed altre sempre tedesche”.
Nel 2013 “l’uva sta maturando in pianta e a luglio fortunatamente a Roma viene autorizzata la coltivazione di questo nuovo vitigno”, traducendo l’azzardo iniziale di piantare viti non autorizzate in attività ufficiale con sbocco sul mercato con un numero importante di bottiglie, lanciando così “un forte segnale agli appassionati di vino naturale”.
E’ così che nasce Zero Infinito, vino bianco frizzante col fondo metodo
Ancestrale, forse “il primo progetto in assoluto a impatto esogeno zero”, per produrre il quale l’uva non è trattata con rame ed altri fungicidi, bensì viene lavata con una sorta di idromassaggio “per eliminare eventuali inquinanti atmosferici, vedi polveri sottili, metalli pesanti e idrocarburi”, mentre “attraverso due brevetti sviluppati in azienda riusciamo a caricare la pressa e torchiare in atmosfera controllata”, quindi “no aria = no ossigeno = no antiossidanti”.
Le fermentazioni avvengono quindi con lieviti indigeni selezionati e gestiti in azienda, utilizzando “tecniche degli anni ’50 recuperate in zona prosecco e lambruschi che prevedono la fine della fermentazione in bottiglia”.
Il risultato, come abbiamo avuto modo di notare alla sua prima uscita, è un nettare reso materico dal fondo, da “agitare prima dell’uso per chi ama la versione rustica contadina”, ma senza che la torbidezza offuschi minimamente la freschezza floreale e la carica aromatica.
I produttori hanno ben individuato nello Zero Infinito “profumo leggermente aromatico, floreale” insieme a sentori di fiori di sambuco, fiori di montagna, mela Golden, pera, albicocca, pesca, note fresche topicali”, cui ci permettiamo di aggiungere note di panificazione ed echi di biscotti integrali secchi.
Nello stesso anno in cui nasce lo Zero Infinito, vengono trasformate le vinacce in Grappa, la quale può fregiarsi del significativo primato di essere la prima da varietà Piwi.
Al naso si presenta piena, rotonda e avvolgente in un’evocazione sensoriale dominata dalla pera Madernassa cotta nel vino. In bocca l’approccio è all’insegna di sentori silvestri e note balsamiche di tarassaco, mentre in bocca si avvicendano corbezzolo, carruba, fichi dottati e una screziatura di genziana.
Non è finita qui, perché il genio dei due maestri ha pensato di riservare una porzione sempre del suddetto vino per la trasformazione in aceto, grazie alla presenza in azienda pure di un acetificio in cui “anziché adottare tecniche moderne con acetificazioni ultra veloci (in 24 ore è possibile acetificare del vino) abbiamo continuato ad operare in maniera tradizionale con il “metodo familiare” che consiste nel porre nelle botti di legno del buon vino o dei succhi fermentati di frutta e lasciarli a contatto per un tempo molto lungo: 12-18-24 mesi”.
Alla degustazione l’Aceto Zero Infinito sbalordisce per originalità e personalità.
Al naso l’impatto è morbido e si intreccia con il ricordo del sidro di mele, senza alcuna aggressività, bensì con elegantissima armonia fruttata.
In bocca l’acidità è gradevole e non spegne un intenso afflato abboccato che crea una fantastica complessità, veicolando agrumi come il bergamotto per il tono aspro e il melangolo candito per quello dolce.
Sorprende vivamente la delicatezza al palato.
Formidabile nello stuzzicare l’appetito.
Nel 2020 il progetto ha registrato la novità dell’arrivo di un altro vino da varietà Piwi, questa volta due vitigni originari della Repubblica Ceca, tra cui il Souvignier gris noto per essere tra quelli preferiti nella spumantizzazione di queste uve grazie all’elevata acidità.
Pojer e Sandri ne hanno infatti tratto Zero Infinito Cremisi, una “versione in rosa dello zero”. Magnifico il suo cromatismo rosso rubino acceso e brillante, intenso quanto l’espressione olfattiva all’insegna delle fragoline di bosco. Al gusto, sfumati alcuni suggerimenti di malvasia rossa, si liberano fragola Candonga caramellata, melagrana, cotogna e ciliegia. Esuberantemente brioso, conferma il piglio zuccherino tipico del vitigno attraverso un suadente finale abboccato che lascia la bocca felice.
Non contenti, Pojer e Sandri decidono di alzare l’asticella del sublime con un ulteriore prodotto a dir poco visionario, frutto della loro magnifica ossessione per le contaminazioni culturali e di una fibrillante irrequietezza intellettuale di radice quasi omerica.
Si tratta infatti di un prodotto presentato come “un ritorno al passato per un vino del futuro”, il quale prende spunto dal dato secondo il quale “9000 anni fa nel Caucaso viene prodotto per la prima volta il vino: in Georgia ancora oggi una parte delle uve viene fermentata in anfora sulle bucce prolungando la macerazione per più mesi”.
Da questa antica tradizione prende spunto Zero Infinito Perpetuo, per il quale “non usiamo le anfore e il contatto con la buccia è sempre protetto dall’ ossigeno utilizzando, in un sistema chiuso, l’anidride carbonica sviluppata durante la fermentazione; l’intento di questa lunga macerazione è poter arricchire il vino di tannino in maniera importante: quest’ultimo sarà l’antiossidante che lo terrà in vita essendo non protetto da antiossidanti esogeni”.
In riferimenti storici proseguono ricordando che “500 anni fa la dominazione spagnola fa conoscere ai siciliani una pratica enologica importante e consolidata, il metodo Soleras; nelle famiglie contadine benestanti o nobili era in uso una botte, più o meno grande in base alla disponibilità, dalla quale si prelevava una parte di vino per festeggiare un matrimonio, il patrono del paese o un semplice aperitivo dopo la santa messa: il vino mancante veniva rimpiazzato con quello dell’ultima vendemmia”. In questo modo il Metodo Soleras si trasforma in perpetuum, in cui “la maturazione avanzata favorita dal sole siciliano e la lunga sosta in botte in ambiente caldo ed asciutto favoriva la concentrazione di alcool che poteva raggiungere i 17°-19°”.
Tutto ciò sarà nel ’700 lo spunto di partenza per l’inglese John Woodhouse giunto a Marsala per aggiungere a tale metodologia la pratica della fortificazione con alcol e mosto e giungere al vino oggi famosissimo chiamato come la citata città siciliana.
Questo Zero Infinito Perpetuo ripercorre la tradizione spagnola ma si ferma a prima che gli inglesi arrivassero a Marsala.
Così le uve vengono “raccolte a novembre per avere 15°-16° alcool, miscelazione di più annate, maturazione in fusti di rovere precedentemente usati a maturare il nostro Brandy per 10 anni, un legno intriso di alcool e aromi che saranno parte integrante del nostro perpetuo”.
Perpetuo che proviene dalle varietà resistenti Solaris, Muscaris, Souvignier Gris.
Il naso scova subito note di legno e memorie di cognac, la bocca sente invece arancia candita, albicocca essiccata, mela renetta e il Karkadè.
Colpisce che non voglia esagerare con la dolcezza, privilegiando piuttosto acidità e macerazione, esaltandosi nello sconvolgente abbraccio alla massima potenza tra sapidità e tannino.
Zero Infinito è dunque un progetto di monumentale importanza che ci siamo fatti spiegare nei dettagli da Mario Pojer, nel video-intervento che trovate qui di seguito.
Info: https://www.pojeresandri.com/